La nascita miracolosa di mio figlio Eden
di K. T. Emmanuel
Mi chiamo Kamavuako Tandissa Emmanuel, ma gli amici mi chiamano Kama. Sono professore di teologia e curo una chiesa, esercitando il ministero di dottore della Parola. Sono della Repubblica Democratica del Congo, nel cuore dell’Africa, e vengo dalla capitale Kinshasa. La comunità cristiana indipendente Le Saron di Kasa-Vubu (Kinshasa), di cui sono pastore, conta più di 750 membri. Mia moglie Rachel ed io, per dieci anni non abbiamo potuto avere figli. In realtà mia moglie ha dato alla luce due bambini, ma in entrambi i casi le lacrime hanno preso il posto della gioia. La prima volta, quattro anni dopo il matrimonio, la bambina è morta per una complicazione neonatale. La seconda, due anni dopo, a causa di una grave infezione, il bambino è vissuto soltanto sei giorni. In questa testimonianza vi voglio raccontare come Dio ci ha finalmente dato la gioia di avere un figlio.
Mia moglie soffre di una grave forma d’ipertensione arteriosa che si evidenzia soprattutto durante la gravidanza. La pressione arriva a 160/120, per aumentare ulteriormente durante le crisi. Questa patologia porta all’eclampsia, una sindrome caratterizzata da accessi convulsivi che possono avere conseguenze anche mortali. Se non fosse per la misericordia del Signore, ogni gravidanza mia moglie avrebbe perso la vita. Essendo servitori di Dio, abbiamo riconosciuto questi momenti come prove indispensabili per consolidare la nostra fede. Molti ci hanno criticato, altri ci hanno deriso, ma avendo visto nel nostro ministero l’opera miracolosa del Signore anche su donne sterili, anche se tra le lacrime, abbiamo continuato a sperare. Grazie a Dio che è scritto: C’è il suo momento per ogni cosa, un tempo per piangere e un tempo per ridere (Ecclesiaste 3:1-7). È vero, ieri piangevamo, ma oggi Dio ha volto il suo sguardo benigno verso di noi e noi siamo nella gioia.
Tutto è iniziato due anni fa, quando mia moglie e io abbiamo preso la decisione di non pregare più per avere un figlio. La nostra unica occupazione è diventata l’opera per il servizio del Signore. Eravamo certi che Lui si sarebbe sicuramente preso cura del resto. In Esodo 23:25-26 è scritto: Servirete il Signore, il vostro Dio, ed egli benedirà il tuo pane e la tua acqua; io allontanerò la malattia di mezzo a te. Nel tuo paese non ci sarà donna che abortisca, né donna sterile. Io renderò completo il numero dei tuoi giorni. È stato nel 2002 che il Signore mi ha parlato con questo passo, che ho condiviso con mia moglie per rassicurarla: Dio si sarebbe veramente preso cura di noi, se noi lo avessimo servito. Così abbiamo dimenticato il nostro problema, dando la priorità all’opera del Padre. Un anno dopo, all’inizio del 2003, i messaggi che Dio mi aveva dato fino a quel momento cominciavano a concretizzarsi. Dio ci mandava profezie da tutte le parti, annunciandoci la nascita di un bambino. Vista l’abbondanza di questi messaggi, cominciammo a prenderli sul serio.
Siccome è scritto di considerare le profezie soltanto se si realizzano in tutti i particolari, vi elenco i punti chiave dei messaggi che abbiamo ricevuto a proposito di mia moglie:
- metterai al mondo un bambino
- sarà un maschio
- sarà mio servo
- nascerà in un paese straniero, in Europa
- accadrà prima della fine del 2004
Dopo tutti questi dettagli ci siamo detti: «vediamo cosa succede», sapendo che Dio è fedele e mantiene quello che dice. Nell’ottobre del 2003 sono comparsi i primi segni del concepimento. Il re Davide disse: Le mie ossa non t’erano nascoste, quando fui formato in segreto e intessuto nelle parti più basse della terra. I tuoi occhi videro la massa informe del mio corpo; e nel tuo libro erano tutti scritti i giorni che mi erano destinati, quando nessuno di essi era sorto ancora (Salmo 139:15, 16). Il concepimento è avvenuto in un periodo particolarmente inatteso: il piano di Dio si stava realizzando. Già dall’inizio dell’anno pensavo al modo di portare mia moglie in Europa e avevo avviato le pratiche necessarie. In dicembre abbiamo ottenuto il visto per l’Italia, ma solo nel mese di gennaio 2004 siamo potuti partire per l’Italia. A febbraio siamo stati in Belgio, dove mia moglie ha fatto la prima ecografia per accertare le condizioni del bambino e conoscerne il sesso: erano già due i particolari delle profezie che si avveravano. Di ritorno in Italia abbiamo incontrato il fratello Giuliano Soveri, pastore della chiesa di Pordenone, che, visto il grave problema dell’ipertensione, ha provveduto per mia moglie un ginecologo privato, il dott. Giovanni Scozzari, primario del policlinico di San Giorgio di Nogaro (PN). Dopo averla visitata, il primario ha consigliato il ricovero urgente; e così abbiamo fatto. È rimasta all’ospedale per dieci giorni, per curare l’ipertensione arteriosa. All’inizio del sesto mese di gravidanza, mia moglie è stata nuovamente ricoverata e, dopo tre giorni di osservazione, il consiglio dei ginecologi del policlinico ha deciso di indirizzarci a un ospedale specializzato. Tre erano le opzioni: Udine, Treviso e Trieste. Il destino ha fatto pendere l’ago della bilancia su Trieste e, tre giorni dopo, era il 9 aprile, mia moglie Rachel è salita sull’ambulanza che l’avrebbe trasferita all’Ospedale Infantile “Burlo Garofolo” di Trieste. Appena arrivata, Rachel è stata sottoposta a un’ecografia che ha messo in evidenza l’età esatta del feto (così lo chiamavano perché non aveva ancora compiuto il periodo che gli avrebbe regalato l’appellativo di bambino). Aveva 25 settimane (meno di sei mesi) ed era assolutamente troppo piccolo per nascere, perché il parto avrebbe interrotto la sua normale formazione. Sulla base dell’esame i medici avevano deciso di non intervenire con un taglio cesareo, che avrebbe messo in grave pericolo la vita del bambino, ma di lottare piuttosto per stabilizzare l’ipertensione. Il fratello Luciano Soveri di Pordenone mi ha accompagnato in automobile fino all’ospedale di Trieste, a circa 120 chilometri da Pordenone. Durante il colloquio, il professore ci ha annunciato il profilarsi dell’intervento, qualora la terapia per la stabilizzazione dell’ipertensione non si fosse rivelata efficace, come sembrava in quel momento. L’intervento però avrebbe salvato la vita alla madre. Per il piccolo c’erano meno del 50% di possibilità di sopravvivenza. Anch’io ero al corrente della gravità della situazione.
Il primo giorno Rachel è stata ricoverata nel reparto di ginecologia, ma due giorni dopo si è reso necessario il trasferimento in Rianimazione perché il bambino stava soffrendo e lei non rispondeva alle terapie: doveva stare sotto ossigeno ed essere monitorata costantemente. La situazione stava diventando critica, troppo critica per evitare l’intervento.
Anch’io, dovendo restare vicino a mia moglie per sostenerla, avevo bisogno di trovare una sistemazione; così il pastore Giuliano di Pordenone si è messo in contatto con il pastore Veglio Jugovac di Trieste, il quale ha accettato ben volentieri di ospitarmi e di assistermi durante questo periodo di prova. Anche a Trieste ho trovato un amore fortissimo, l’amore del Signore di cui parla la Scrittura: ho trovato fratelli e sorelle che mi hanno aperto il cuore, mi hanno mostrato il loro amore profondo (come la famiglia di Domenico). Che Dio li benedica grandemente! Il pastore Veglio che mi ospitava si è preso cura di me sino nei minimi dettagli, non mi ha fatto mancare nulla. Quella domenica ho potuto anche predicare la parola di Dio dal pulpito della Chiesa Cristiana Evangelica di Trieste. Abbiamo pregato insieme ed è stato tutto molto bello. Il giorno lo passavo tutto in ospedale con Rachel e la sera tornavo a dormire nell’appartamento che il pastore Veglio e sua moglie Evelina mi avevano messo a disposizione.
Quella domenica ricorreva anche la festa di Pasqua; dopo aver pranzato insieme alla famiglia del pastore, sono andato subito a visitare mia moglie, che stava un po’ meglio, e sono rimasto con lei tutto il pomeriggio fino alle ore 22, quando il pastore è venuto a prendermi per riportarmi a casa sua in macchina.
Già in marzo, a Londra, nella missione, Rachel aveva ricevuto da Dio un messaggio riguardo alle ossa secche, di Ezechiele 38:1-10. Attraverso la comprensione di questo testo, Dio ci ha fatto vedere che il bambino era un osso secco, su cui dovevano avverarsi tutte le profezie di Ezechiele rispetto a Israele. Di ritorno da Londra, Rachel mi aveva detto quello che aveva ricevuto su questo passo e insieme avevamo realizzato che il messaggio si riferiva a Eden, come avevamo deciso di chiamare nostro figlio. Dovevamo profetizzare…
La notte tra domenica 11 e lunedì 12 aprile 2004, circa alle tre del mattino, ho sentito squillare il mio cellulare: era l’Ospedale, precisamente la Rianimazione. Mi è rimasto fortemente impresso nella memoria quello che mi è stato detto in quella circostanza: «Signore, la chiamiamo dall’Ospedale Burlo-Garofolo dov’è ricoverata sua moglie, la situazione di sua moglie è grave, anche il bambino sta male, abbiamo già preparato la sala operatoria per intervenire, la aspettiamo con urgenza». Ho guardato l’orologio, erano le tre del mattino, mi sono vestito in tutta fretta e sono andato a svegliare Veglio per metterlo al corrente della telefonata ricevuta dai medici. Trovandosi la casa poco distante dall’Ospedale, siamo arrivati in circa dieci minuti. Mia moglie era già distesa sulla barella pronta per essere portata in sala operatoria; il medico mi ha chiesto di firmare la liberatoria, mentre stava già entrando nella sala l’équipe medica, composta da un ginecologo, un cardiologo e un neonatologo.
Da quel momento in poi Veglio ed io siamo rimasti nel corridoio a pregare nelle nostre lingue e in quelle “degli angeli”. Che coraggio avrei potuto avere io senza l’aiuto di un uomo di Dio che mi sorreggeva in attimi così difficili? Dopo oltre un’ora di attesa in preghiera, improvvisamente, il pastore mi ha chiesto: “Quale è il nome del bambino”? A dire il vero la mia fede aveva subito duri colpi a causa delle parole pronunciate dai medici e quando mi è stata rivolta questa domanda dentro di me dicevo: «Che Dio conservi in vita mia moglie e che decida lui la sorte del bambino!», tuttavia ho risposto: «Eden». Immediatamente il pastore si è messo a pregare con autorità: «Vivi, tu che ti dibatti nel sangue! Eden vieni, vieni». D’improvviso ho sentito il corridoio invaso da una forte potenza alle parole del pastore Veglio. Un minuto dopo la porta si è aperta e il bambino è uscito: lo abbiamo visto passare nell’incubatrice, attorniato dalle infermiere. Al passaggio abbiamo avuto fiato per un’unica domanda: «È vivo?». «Sì», hanno risposto. Sono caduto sulle mie ginocchia piangendo dall’emozione; Veglio mi ha aiutato ad alzarmi, l’ho abbracciato forte e abbiamo adorato insieme con fervore il Signore, lì nel corridoio dell’ospedale.
Era la ventiseiesima settimana di gravidanza, il bambino alla nascita pesava appena 870 grammi. Poco dopo l’intervento, il ginecologo e gli altri medici mi hanno chiamato in disparte e mi hanno ripetuto quanto mi avevano detto in precedenza: «Abbiamo salvato sua moglie, ma il bambino è troppo piccolo, faccia conto di non averlo visto, non gli restano che poche ore, non vogliamo che sia colto di sorpresa, ecco perché le diciamo tutte queste cose». A quel punto non capivo più niente. L’essenziale comunque era che mia moglie era viva.
Alle 8 del mattino il neonatologo mi ha chiesto di firmare il permesso di fare una trasfusione di sangue al bambino. Ho firmato. Le probabilità di sopravvivenza del neonato vengono espresse con una scala da 1 a 10; i bambini nati normalmente registrano un punteggio di 9/10; Eden, alla nascita, aveva una sola possibilità di sopravvivenza su dieci (1/10). Il secondo giorno le possibilità erano aumentate a 4/10 e il terzo a 7/10, che meraviglia!
Subito dopo la nascita, ritornato a casa, ho aperto la Bibbia sul passo di Ezechiele e ho pregato con autorità per le ossa secche che rappresentavano Eden. Mi è stato detto: «Figlio dell’uomo, profetizza: i nervi siano saldi, la carne cresca, la pelle copra la carne e lo spirito soffi, perché la carne si muova». Così ho fatto.
Tre giorni dopo sono andato al Comune di Trieste a registrare mio figlio e l’ho chiamato Eden Veglio. Il bambino ha cominciato a crescere e a svilupparsi, aumentava di 120 grammi al giorno (incredibile!). Un’ottima crescita, senza complicazioni ai polmoni (organi non formati completamente a sei mesi). Respirava da solo, senza l’aiuto del respiratore. Il bambino viveva. Quando, due mesi dopo, è stato dimesso dall’ospedale, pesava 2,740 kg. Era riuscito a sopravvivere! Sono sicuro che si compirà il piano di Dio per la sua vita.
Noi benediciamo l’Iddio Onnipotente per il miracolo di Eden. Benediciamo tutti quelli che hanno pregato e digiunato per questo bambino, da vicino o da lontano. Benediciamo tutti quelli che ci hanno assistito, da vicino o da lontano.
Che Dio benedica Eden!
Grazie, Signore!