Testimonianza della propria conversione

di L. Paceco Carrillo
ex-sacerdote cattolico

 

Sono nato nell'anno 1929 in un piccolo villaggio dello Stato di Puebla, in Messico, e in una famiglia di stretta osservanza cattolica. Avevo ben tre zii sacerdoti e, dall'età di circa tre anni, ho visto i miei fratelli partire tutti, uno dopo l'altro, per il Seminario Diocesano di Oaxaca, con il desiderio di diventare sacerdoti, cioè ministri della religione cattolica.
A quel tempo a me invece la religione non interessava proprio nulla. Volevo vivere la mia vita senza vincoli né barriere, in compagnia di amici che avessero il mio stesso proposito.
Ma a un certo punto mi cominciarono a venire degli incubi: notte dopo notte sognavo il diavolo. La cosa era così pesante che decisi di parlarne a mio padre.
- Con la vita che fai - mi disse per tutta risposta - non c'è niente di strano se il diavolo dorme con te.
A partire da questa risposta, cominciai a riflettere sui miei problemi.
- Se questi incubi - pensavo - esprimono la mia relazione con il diavolo in questa vita, questo è un sicuro indizio della mia relazione con lui anche nell'inferno.
L'idea mi fece orrore.
- No - mi dissi - non voglio andare all'inferno, a nessun costo.
Ma che potevo fare?
Pensai che dovevo ottenere il perdono dei miei peccati, cioè che, secondo l'insegnamento che avevo ricevuto, dovevo confessarmi con un sacerdote e attendere da lui l'assoluzione.
Cercai nella città di Tehuacàn (Puebla) un sacerdote anziano che non mi conoscesse, per potergli raccontare le cattiverie della mia vita. Comunque, per quanto avessi trovato la persona che cercavo, non fui contento di accorgermi che, forse per l'età troppo avanzata, mentre gli raccontavo i miei peccati, lui a tratti dormicchiava. Quando poi, terminata la mia confessione, quel sacerdote mi disse che come penitenza dovevo recitare solamente cinque brevi preghiere, pensai che mi avesse dato una penitenza così piccola solo perché, evidentemente, non aveva sentito bene quanti peccati avessi commesso. Cercai allora un altro sacerdote, ma che stavolta non fosse vecchio. Questo secondo confessore mi diede, per penitenza, da recitare un rosario. Una penitenza un po' più grande, ma che non mi lasciò per niente soddisfatto, perché non potevo comunque capire come il debito dei miei molti peccati potesse venir sanato con così poca fatica.
Mi interessai al problema di questa disuguaglianza tra la grandezza del mio debito e la piccolezza dell'azione che mi era richiesta per saldarlo. Mi spiegarono che quello che non avevo pagato con le penitenze, lo avrei pagato nel purgatorio. Mi dissero anche che la colpa dei miei peccati veniva perdonata grazie alla morte di Gesù Cristo sulla croce del Calvario, ma che io comunque avrei dovuto pagare la pena, cioè il castigo per i miei peccati. Questo non mi piacque per niente. Non ero disposto ad andare a bruciare nel purgatorio per centinaia di anni, fino ad arrivare a pagare per tutti i miei peccati. Mi dissero allora che potevo diminuire i miei castighi nel purgatorio anche in questa vita facendo più penitenza e anche cercando di guadagnarmi le indulgenze promesse dal Papa con certe preghiere speciali ed altre pratiche religiose.

Voglio fare ora una breve pausa per dire subito a questo proposito ciò che più tardi ho trovato nelle Sacre Scritture.
Gesù Cristo nostro Signore è morto versando il suo sangue per la remissione dei nostri peccati. La Bibbia non fa nessuna distinzione tra la colpa e la pena del peccato. Questa è una dottrina umana. La Bibbia insegna diversamente.

    "Ma egli è stato trafitto a motivo delle nostre trasgressioni, fiaccato a motivo delle nostre iniquità; il castigo, per cui abbiamo pace, è stato su di lui, e per le sue lividure noi abbiamo avuto guarigione." (Isaia, 53:5)

Il perdono che si ottiene per la fede nel sangue di Gesù Cristo è così perfetto che Dio promette di non ricordarsi mai più delle iniquità di coloro che fanno un patto con Lui per mezzo del sangue di Gesù.
Quanto danno sta facendo nella religione cattolica questa dottrina che afferma che Cristo ci ha liberati dalla colpa, ma non dalla necessità di fare penitenza per il peccato.
I cattolici, a causa di questa dottrina, non possono essere mai sicuri della loro salvezza, perché non possono sapere se hanno già pagato abbastanza per il castigo dei loro peccati.
Invece, avendo fede, così come insegna la Scrittura, nell'offerta unica e potente che Cristo, al posto nostro, ha presentato una volta per tutte al Padre celeste per il peccato di tutti noi, dal momento cioè in cui confidiamo pienamente nel sacrificio sufficiente fatto da Gesù per noi, troviamo anche la certezza di essere liberi dal castigo per i nostri peccati, per la fede nel Signor Gesù Cristo.
Per sostenere la necessità della penitenza alcuni citano il testo della lettera ai Colossesi dove è scritto (1:24) che quello che manca alle afflizioni di Cristo noi lo completiamo nella nostra carne. Ma se guardiamo al contesto di questo passo biblico, troviamo che Paolo in quel punto si stava riferendo ai dolori che doveva sopportare per amore del nome del Signore e per predicare ad altri il vero Vangelo, e in nessun modo a dolori necessari per ottenere il perdono dei peccati.
(A questo proposito, si possono leggere anche: 2a Corinzi, 1:5; 2a Timoteo, 1:8; 2a Timoteo, 2:10; e molti altri passi ancora).

Dopo questo chiarimento biblico, vado avanti con la mia testimonianza.
Credendo nella dottrina della possibilità di ottenere in questa vita una diminuzione dei castighi del purgatorio, decisi di entrare in un convento di monaci, in cui la vita consistesse principalmente nel far penitenza per espiare i peccati della vita passata. Entrai nel seminario Filippense della città di Puebla nell'anno 1945. Lì cercai principalmente la soluzione del problema che mi pesava di più, cioè come evitare il purgatorio. In quel seminario mi insegnarono a far penitenza. Per raggiungere la mèta del perdono dei miei peccati dovevo frustarmi, mettermi dei cilici (delle cinture con chiodi), bagnarmi con acqua gelata tutte le mattine alle quattro, e mortificare il mio corpo in molti altri modi, soprattutto recitando una grande quantità di preghiere.
Dopo questo seminario, nell'anno 1948 andai a Roma, dove rimasi due anni, studiando all'università Gregoriana. Dovevo ottenere un titolo accademico, perché i superiori del Seminario di Puebla avevano deciso di riservarmi un incarico di insegnamento.
Dal seminario di Puebla, nell'anno 1955 passai a quello di Oaxaca, dove fui ordinato sacerdote due anni dopo, nel '57, dall'allora Arcivescovo di Oaxaca dott. Don Fortino Gomez León, che mi diede anche la nomina di prefetto e professore con diversi incarichi in quello stesso Seminario Diocesano di Oaxaca. Per altri otto anni continuai la mia vita di penitenza anche come sacerdote. Ad un certo punto cominciai a riflettere su ciò che avevo effettivamente guadagnato con quel tipo di vita. Da una parte, la mia cattiveria non era sparita ma aveva solo preso altre forme, di modo che il mio debito con Dio, anziché diminuire, aumentava di giorno in giorno. Dall'altra, la coscienza mi diceva che non avevo espiato proprio nessuno dei miei peccati passati.
Di fronte a questa realtà dovevo riconoscere il fallimento di tutti i sistemi che mi erano stati suggeriti per scampare al purgatorio.
Allora mi chiedevo quale fosse il luogo che mi sarebbe toccato dopo la morte.
- Sarebbe stato il cielo?
Sapevo bene che no.
- Il purgatorio?
Forse nemmeno.
- L'inferno, allora?
Era la cosa più probabile.
Vedevo che stavo andando senz'altro in quella direzione.
Ma cosa potevo fare?
Decisi allora di non pensarci più, dato che questi pensieri non facevano che tormentarmi, senza che potessi arrivare a nessuna soluzione chiara e sicura. Per due anni sono rimasto così, vivendo senza voler più pensare a quello che sarebbe successo dopo la morte.

Ma (grazie a Dio per la sua misericordia!) nel 1967 avvenne qualcosa di nuovo. Nel Seminario di Oaxaca mancava un professore che tenesse il corso di Introduzione alle Sacre Scritture, e toccò a me dare quel corso.
Mi preparai leggendo e studiando il testo di quel corso. Ma non ero felice di dare quelle lezioni, perché i miei alunni dimostravano scontentezza e noia. Domandai cosa avessero.
- Credevamo che in questo corso ci avrebbero insegnato a conoscere la Bibbia. Pensavamo che il soggetto del corso sarebbe stato lo studio delle Sacre Scritture.
Dalla prossima lezione - assicurai - apriremo la Bibbia e studieremo direttamente quello che è scritto nella Bibbia.
Così, per non dare ai miei alunni l'impressione di essere un ignorante, cominciai a studiare attentamente la Bibbia. Furono due anni di intenso studio biblico. E i risultati di questo contatto con la Bibbia furono per me molto importanti.
In primo luogo, scoprii che la Bibbia è veramente la parola di Dio. Tutto ciò che Dio ha detto si è realizzato perfettamente, in tutte le età.
"Il cielo e la terra passeranno - afferma Gesù nella Bibbia - ma le mie parole non passeranno." (Marco, 13:31)
In secondo luogo, trovai che la Parola di Dio redarguisce con forza il peccatore.

"Non sapete voi che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non vi illudete: né i fornicatori, né gli idolatri, né gli adulteri, né gli effeminati, né i sodomiti, né i ladri, né gli avari, né gli ubriaconi, né i rapaci erediteranno il regno di Dio." (1a Corinzi, 6:9-10)

Realizzavo che queste non erano parole di un uomo che stesse giocando o scherzando, ma parole di Dio, l'autore delle Sacre Scritture.
In terzo luogo, trovai che questa Parola, non solo mette in luce il problema del peccato, ma, nello stesso tempo, dà anche la strada più sicura per risolverlo.
Questa soluzione l'ho trovata nel vangelo di Giovanni.

"Ora Gesù fece in presenza dei discepoli molti altri miracoli, che non sono scritti in questo libro; ma queste cose sono scritte affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figliuol di Dio, e affinché, credendo, abbiate vita nel suo nome." (Giovanni, 20:30-31)

- Adesso lo so - mi son detto, dopo aver letto attentamente questo passo - anch'io posso credere in Gesù Cristo e così, come dice questa Parola, anch'io potrò entrare nella vita eterna.
D'altra parte, da questo impegno così totale nello studio della Bibbia mi risultava sempre più chiara una scomoda verità: tutto il mio ministero come sacerdote non lo svolgevo secondo i comandamenti di Dio. Anzi. Per esempio, quelle benedizioni di statue ed immagini. Nella Bibbia è esplicitamente vietato tenere immagini, tanto più onorarle inchinandocisi davanti.
Dopo aver constatato e verificato queste proibizioni nella Parola di Dio, mi sono messo a togliere da casa tutte le immagini che tenevo. Inoltre ho smesso di fare tutte le genuflessioni che, seguendo la liturgia comandata da Roma, facevo abitualmente davanti alle immagini dell'altare, all'inizio e alla conclusione della messa.
A chi dovevo obbedire: a Roma che mi diceva di inchinarmi davanti alle immagini prima della messa, o a Dio che dice chiaramente nella sua Parola (Esodo, 20:5) di non inchinarsi davanti alle immagini, e di non servir loro?
E ancora: dove era prescritto nella Bibbia tutto quell'uso del segno della croce che dovevo fare in ogni messa ed in ogni benedizione?
Nella Bibbia non avevo trovato in nessun luogo che Gesù avesse lasciato ai suoi discepoli l'incarico di fare croci e segni della croce da tutte le parti. Avevo trovato invece che Gesù insegnò ad invocare il suo nome, e che nel suo nome avremmo trovato ascolto presso il Padre che è nei cieli; che Gesù ci ha lasciato il suo nome perché credessimo in lui, e che, a coloro che lo hanno ricevuto, Gesù ha promesso che diventeranno figli di Dio.
Gesù dichiara che i suoi discepoli, invocando con fede il suo santo nome, avranno l'autorità di scacciare i demoni. Da ciò potevo comprendere che, per la Bibbia, la potenza di Dio non si trova nelle croci fatte o benedette dagli uomini, ma si conosce avendo fede nel suo nome.
Smisi di fare segni della croce durante la messa e cominciai a pregare costantemente il Padre, confidando nel nome del Signore Gesù, che Dio ci ha dato per essere salvati. E così, un po' alla volta, ho abbandonato tutto quello che, nel mio ministero, vedevo apertamente in contrasto con la Bibbia.
Alla fine, decisi di scrivere all'Arcivescovo di Oaxaca che non volevo più essere sacerdote, perché non me la sentivo di insegnare dottrine estranee alla Bibbia. Parlai anche personalmente con lui, e gli dissi anche a voce che ero disposto a predicare soltanto le dottrine che trovavo nella Bibbia. L'Arcivescovo mi rispose che scegliessi una parrocchia dello Stato di Oaxaca e che vi andassi a svolgere il mio ministero. Ci accordammo per la parrocchia di San Felipe Uzíla, con i ventiquattro paesini che le corrispondevano, e il 10 maggio del 1969 arrivai a San Felipe con un buon corredo di bibbie e di nuovi testamenti.

Dopo un anno e mezzo di viaggi su e giù da un paesino all'altro per andare a ministrare la Parola di Dio, potevo contemplare un panorama veramente bello.
In quei paesini sperduti si incontrano persone veramente della peggior qualità: assassini, ladri, adulteri, ubriaconi, ecc. Ma, dopo aver avuto contatto con la Parola di Dio contenuta nella Bibbia, molti di loro hanno conosciuto il Signore Gesù, il Salvatore promesso agli uomini, nel cui nome hanno creduto, e che li ha salvati con potenza.
In quei giorni ricevetti una lettera dall'Arcivescovo di Oaxaca che mi invitava a scendere a Tehuacán per partecipare a certe Jornadas de la Cruz, che si sarebbero tenute dal 4 al 6 di dicembre del 1970. Poi avrei potuto far ritorno a San Felipe per continuare il mio ministero.
Era la prima volta che sentivo parlare di queste Giornate, una specie di seminario per meglio definire la relazione tra il sacerdote e la gente, e tra il sacerdote ed il vescovo.
A Tehuacán mi trovai in una riunione di una cinquantina di sacerdoti, dove seppi qualcosa di più sull'obiettivo di quelle Giornate, qualcosa che mi turbò molto. Seppi difatti che alla fine di quelle Giornate tutti noi sacerdoti avremmo dovuto fare giuramento di obbedienza al vescovo, e che i vescovi avrebbero ratificato il loro voto di obbedienza al Papa. Vedevo chiaramente dove mi volevano portare quelle Giornate, cioè a riprendere le dottrine di Roma, assoggettandomi ciecamente ad esse. Parlandone con altri sacerdoti, dissi che non ero disposto a fare questo passo, perché ormai avevo conosciuto la autorità della Bibbia, alla quale avevo riconosciuto di dovere innanzitutto obbedienza, perché è la vera Parola di Dio.
Allora alcuni sacerdoti cominciarono a venirmi a visitare nella mia celletta per dirmi che non dovevo mancare al giuramento annunciato alla fine delle Giornate, perché - mi dicevano - sarei rimasto fuori dall'organizzazione della Chiesa Cattolica. Insistevano che facessi questo giuramento, per poter restare all'interno della Chiesa Cattolica, da dove - dicevano - avrei potuto ancora aiutarli a conoscere le dottrine della Bibbia. Così, magari, più tardi, vari altri sarebbero potuti uscire con me.
- Non essere egoista! - mi dicevano - Non te ne andare. Aspettaci, con te ce ne usciremo in molti altri.
Queste parole riuscirono a convincermi. Ancora non avevo fatto una vera, completa decisione per Cristo, e perciò non c'era forza in me per rifiutarmi davanti a queste richieste d'aiuto. Quindi nell'ora del giuramento, pur con la morte nel cuore, giurai anch'io fedeltà al vescovo di Tehuacán. Fu l'ora più triste della mia vita. Sapere che una strada è sbagliata e, ciò nonostante, dover giurare di andare avanti per quella strada...
Il giorno dopo presi immediatamente l'aeroplano per andare più presto possibile ad incontrarmi con i fratelli della mia parrocchia. Che impressione mi fece rivederli! Quei fratelli erano ripieni della nuova vita che avevano ricevuto da Cristo attraverso la sua santa Parola.
- Fratello, lo sai che mentre eri via si sono convertiti il tale e il tal altro? Cristo è veramente potente!
Fu un colpo durissimo per il mio cuore, e mi chiesi:
- Come faccio a cominciare a insegnare ora a questi fratelli il cammino delle dottrine di Roma, nel quale ho camminato a lungo come sacerdote e lungo il quale non ho mai visto nessun cambiamento così potente e così profondo come quello che sto vedendo ora nella loro vita?

Avevo fatto giuramento al vescovo, e dovevo procedere secondo il giuramento fatto. Ma non osavo proseguire per quella strada. Non avevo però più nemmeno la forza di continuare a esortare le persone a credere in Dio e nella sua santa Parola. Così passarono due giorni. E al terzo giorno, dopo aver confrontato a lungo le dottrine romane con quelle della Bibbia, non ce l'ho fatta più.
Quella sera stessa mi sono alzato dalla mia scrivania, sono andato a chiudere la porta dell'abitazione e mi sono gettato in ginocchio in mezzo alla stanza.
- Signor Gesù, adesso vedo chiaramente che quello delle dottrine di Roma e quello della tua santa Parola sono due cammini molto diversi. Per dodici anni ho insegnato a tanta gente queste dottrine e non ho mai visto un cambiamento potente come quello che sto vedendo ora. Che non ho fatto altro che dare a questa gente gli insegnamenti della tua Parola. Questa sera mi voglio decidere totalmente per te. Tu sarai il mio Signore e la mia guida. La mia fiducia oggi io la pongo in te.
Sentii allora una gioia e una sicurezza come non avevo mai sentito prima. Aprii le porte e chiamai i miei fratelli. Li incoraggiai a continuare avanti, e dissi loro che da quel momento avremmo fatto tutto e soltanto quello che Dio dice nella sua santa e benedetta Parola.
Successe allora che i cattolici di quella zona che non avevano voluto ricevere la parola di Dio, decisero di mettermi alla prova chiedendomi di celebrare la festa di Natale lì in paese. Se in quella festa io avessi dato da baciare l'immagine del Bambino Gesù (come si fa di solito), questo sarebbe stato un segno che io ero ancora un sacerdote cattolico, se invece non l'avessi fatto, per loro sarebbe stato evidente che io non ero più un sacerdote cattolico, e in quel caso mi avrebbero fatto mandar via. Così un giorno arrivò a casa mia una nutrita delegazione, capeggiata dalle autorità del paese, per chiedermi che celebrassi quella festa. Risposi loro che per quel Natale sarei rimasto in paese, ma che dovevo comportarmi secondo la parola di Dio. Arrivò la notte della Vigilia. Predicai il nome di Gesù Cristo, e la necessità di riceverlo nel proprio cuore. Terminai il culto con una preghiera di lode per il Signore, e di ringraziamento per quelli che in quella stessa notte lo avevano ricevuto nel cuore. Ma senza dare alla gente l'immagine da baciare.
Un gruppo mi seguì in sacrestia, per dirmi che mi ero dimenticato di dare da baciare il Bambin Gesù. Io risposi che questo non si poteva fare più, perché ora sapevamo che farlo sarebbe stato peccare di idolatria, una peccato molto grave davanti a Dio.
Quelle persone cominciarono a chiedere all'Arcivescovo di Oaxaca che mi spostasse togliendomi di là. Allora l'Arcivescovo mandò a San Felipe una commissione di tre sacerdoti perché indagassero sul problema.
Arrivarono a Uzila questi tre sacerdoti. Li ricevetti meglio che potei, cercando di mostrar loro il tipo di lavoro che stavamo facendo e i risultati che stavamo già vedendo. La sera li invitai alla riunione di studio biblico e preghiera. In questa riunione li invitati a dire qualche parola alla congregazione. E, uno dopo l'altro, ripeterono quasi le stesse parole.
- Amatissimi fedeli, siamo contenti che stiate leggendo le Sacre Scritture. Continuate così, e che Dio vi benedica.
Il giorno dopo, quando stavano per tornare a Oaxaca e già aspettavamo che arrivasse l'aeroplano, mi rivolsi a loro per fare una domanda.
- Adesso voi riporterete all'Arcivescovo le informazioni che siete venuti a prendere. Ma, ditemi, secondo voi tutto quello che avete visto è da Dio o non è da Dio?
Allora uno di loro mi rispose.
- Vedi, Luis, quello che stai facendo è quello che dovremmo fare tutti noi. Anch'io, in parte, ho cominciato a farlo nella mia parrocchia, ma la gente mi si rivolta contro. Tu ormai ti sei lanciato. Vediamo come ti và.
Gli altri sacerdoti non espressero un diverso parere, lasciando però trasparire maggiori timori per quello che sarebbe potuto venire da parte dei non credenti.
Il risultato di questa visita fu che l'Arcivescovo fissò una riunione per tutti i parroci di fuori città, alla quale fui chiamato per rispondere alle domande che mi sarebbero state poste.
Questa riunione durò tre ore, nelle quali non si trattò altro argomento che quello del caso del parroco di Uzila.
Dopo che, con l'aiuto di Dio, ebbi risposto a tutte le  domande che mi furono rivolte, l'Arcivescovo concluse la riunione con una parola di prudenza.
- Va bene, padre Pacheco, ma con cautela.
Tornai alla mia parrocchia. I fratelli si rallegrarono. I non credenti invece, naturalmente, al vedere che non avevano ottenuto dall'Arcivescovo che mi togliesse da lì, ebbero una opposta reazione. Scrissero all'Arcivescovo una lettera di minacce contro la mia persona. L'Arcivescovo allora mi mandò un telegramma urgente perché mi presentassi all'Arcivescovado di Oaxaca. Quando arrivai all'Arcivescovado, trovai l'Arcivescovo molto preoccupato.
Non si può più andare avanti così. Non sai quante accuse sono state sollevate contro di te. Mi sono già consultato con i consiglieri della diocesi e abbiamo deciso che te ne devi andare.
- Signor Arcivescovo - risposi - potrei sapere quali sono i delitti di cui mi si accusa?
- Vedi, non è che tu abbia fatto qualcosa di male - mi ha risposto l'Arcivescovo - so benissimo che tu non hai commesso nessun delitto. Io, personalmente, sono d'accordo con te in tutto quello che hai fatto. Ma noi dobbiamo dare la Bibbia alla gente poco a poco. Io morirò, morirai anche tu, passeranno cento, duecento, trecento anni e anche allora non potremo insegnare la Bibbia alla gente. Questo è il problema: stai andando troppo in fretta.
- Ma Signor Arcivescovo, io non vivrò duecento o trecento anni. E ciò che io so che è di Dio devo darlo oggi alla gente. Altrimenti, se mi presento come un ministro di Dio e dò alla gente cose che non sono di Dio, mi comporto come un bugiardo, perché dico che è di Dio ciò che io so che non è di Dio.
L'Arcivescovo insisteva nella sua posizione, ma io non potevo procedere in modo contrario a quello che mi mostrava la parola del Signore. Siccome non si riusciva ad uscire da questa situazione, chiesi all'Arcivescovo che mi permettesse di mettere per iscritto la mia decisione definitiva. Mise a mia disposizione la sua macchina da scrivere e mi lasciò da solo. Su quei fogli di carta espressi la mia determinazione a seguire fino in fondo il cammino della parola di Dio della santa Bibbia: visto che era arrivato il momento che non potevo più continuare questo cammino dentro la Chiesa Cattolica, lo avrei continuato al di fuori di questa organizzazione. Scrissi anche che ormai vedevo chiaramente che la Chiesa Cattolica non ha lo scopo di obbedire a Dio: quello che cerca è semplicemente di non avere problemi con la gente. Ma che io preferivo non avere problemi con Dio, anche se forse per questo ne avrei avuti con quelli che non vogliono accettare la sua Parola. Il Signore Gesù ci ha avvertito di non temere quelli che possono uccidere il corpo ma non possono toccare l'anima, e piuttosto temere Colui che, nell'inferno, può distruggere sia il corpo che l'anima (Matteo, 10:28).

Consegnai questa lettera all'Arcivescovo, e lo salutai. Mentre camminavo per la strada verso l'hotel in cui ero alloggiato, mi venne un pensiero di sconforto.
- Adesso sì che sono senza religione. Cosa farò?
Arrivai all'hotel e mi gettai in ginocchio nella mia camera.
- Signore, come arriverò da te, adesso che non ho più una religione?
Allora il Signore mi fece luce con la sua santa Parola. Lo Spirito Santo mi riportò alla memoria quel passo benedetto in cui Gesù dice:

"Io sono la via, la verità, la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me" (Giovanni, 14:6).

E un altro passo in cui è scritto:

"Poiché v'è un solo Dio, e così pure un solo mediatore tra Dio e gli uomini" (1ª Timoteo, 2:5).

Questo fu il momento prezioso in cui misi definitivamente la mia fiducia in niente più e in nessun altro che nel nostro Signore Gesù. L'unico che è stato incaricato di portarci alla comunione con Dio, da ora e per sempre. Ricordai anche un altro passo:

"Ond'è che egli può salvare appieno quelli che per mezzo di lui si accostano a Dio, vivendo egli sempre per intercedere per loro." (Ebrei, 7:25)

Mi preparai subito per tornare a Uzila e, appena arrivato, riunii tutti i fratelli per dar loro le ultime notizie.
- Non sono più nella Chiesa Cattolica - dissi loro quando fummo tutti riuniti - perché lì non mi era più possibile vivere da cristiano. In questo luogo arriverà presto un altro sacerdote mandato dall'Arcivescovo di Oaxaca. E adesso voglio farvi una domanda: quando arriverà il nuovo sacerdote, preferirete stare con lui che vi insegnerà secondo le dottrine della chiesa di Roma o siete disposti a continuare la strada che abbiamo cominciato assieme? Chi vuole seguire il nuovo sacerdote si alzi in piedi.
Nessuno si alzò.
- Un altra domanda: chi vi ha salvato dalla vostra vita perduta?
- Cristo! - risposero tutti.
- Si alzino dunque in piedi tutti quelli che sono disposti a seguire il Signore Gesù secondo la sua santa Parola.
E tutti quanti si alzarono.
Allora uno di loro mi disse che si aspettava già questo momento e che teneva pronto in casa sua un appartamento per me. Un altro fratello offrì il patio di casa sua per le riunioni del culto. Però la cosa più bella fu che cominciai a sperimentare nella mia persona il meraviglioso potere di Dio che cambia la vita. I miei vizi smettevano di averla vinta su di me. Molti problemi di diversa indole che io mi ero dovuti tenere non sono più stati tali per me, quando ho riconosciuto Gesù come l'unica via, l'unico Salvatore che dà la vita, l'unico Signore che ha per noi una parola di verità; e quando ho messo in lui tutta la mia fiducia.
In quel momento fui salvo, avendo la piena certezza del perdono dei miei peccati, e sempre in quel momento ho sperimentato anche la libertà dal potere del peccato. Terminò così il mio tempo di schiavitù, la servitù al peccato, per cominciare d'ora in avanti una vita al servizio della giustizia. Gloria a Dio, oggi anch'io sono un testimone della salvezza di Dio in Cristo Gesù, nostro Signore.
In seguito, in obbedienza al comandamento di Gesù, procedemmo a ricevere il battesimo in acqua per immersione. Chiamammo un pastore della città di Oaxaca e, dopo un culto speciale, ricevemmo il battesimo in più di settanta. Ogni mese continuavamo ad avere battesimi. Ogni volta si battezzavano gruppi di cinquanta, sessanta, settanta, quaranta, ...
Sono rimasto ancora cinque anni in quella zona della Sierra di Oaxaca, e moltissimi altri hanno creduto nel Signore Gesù. Oggi ho la gioia di servire il Signore nel Tempio di Nuevo Laredo (nello Stato di Tamaulipas, México) e di curare una scuola biblica dalla quale sono già usciti molti operai per il campo del Signore.

Chiudo così, caro amico, proclamandoti che Cristo ti ama e ti vuole dare vita eterna. Lascia le tue idee, affidati a lui e servilo.
Ti invito ad accettare il Signore Gesù. Lo puoi fare anche in questo momento. Lì dove ti trovi. Il Signore è pronto a ricevere la tua decisione. Puoi pregare con semplicità.
- Signor Gesù, io ti ricevo come mio salvatore, unico e sufficiente. Mi affido a te. Fai di me secondo la tua volontà. Io voglio servirti con tutto il mio cuore. Ti ringrazio perché sei morto per i miei peccati. Grazie Signor Gesù, da ora tu sei il mio potente salvatore, e il Signore della mia vita. Grazie Signor Gesù, ti voglio servire con tutto il mio cuore.
Amèn.