Testimonianza della sorella Sonia
di Sonia Calì
La sera del 7 novembre 2002, intorno alle 22.30 ho cominciato ad avere le doglie. Così mio marito Enzo ed io ci siamo di corsa preparati per andare all'ospedale. Dopo la visita dell'ostetrica, siccome sembrava dovessero passare chissà quante ore, Enzo è andato a casa, tranquillo che le cose non si sarebbero sbrigate prima dell'indomani. Invece, intorno alla mezzanotte si sono rotte le acque, così mi hanno portata in sala parto e hanno telefonato a Enzo che è rimasto con me fino alla nascita di Eleonora.
Mentre eravamo intenti a goderci questa nuova creaturina io ho sentito come se qualcosa dentro di me si rompesse (come quando senti delle fitte intercostali, fai un bel respiro e scatta qualcosa dentro), l'ho detto subito all'ostetrica che mi ha nuovamente visitata dicendomi che era tutto a posto e che non ci sarebbe stato bisogno nemmeno di un punto. Dopo pochi minuti ho cominciato a sentire un dolore fortissimo, acuto all'altezza dei reni e ho cominciato a gridare "Aiuto, sto male, aiutatemi, sta succedendo qualcosa!". Immediatamente l'ostetrica mi ha rivisitata e si è accorta che dentro di me c'era ancora molto, troppo sangue, così ha chiamato il ginecologo che mi ha subito portata in sala operatoria. Successivamente ho saputo che la sua speranza era di trovare lacerata la cicatrice del cesareo (del parto precedente) e che fosse questo a provocarmi perdite di sangue.
Quello è stato uno dei momenti più brutti, più tristi e più pesanti, perché dalla gioia del parto della bimba, dagli abbracci con Enzo e tutto il resto, mi sono vista portar via la bambina, mandar via Enzo, tutto così in fretta, senza aver avuto neanche il tempo di dirci qualcosa. In sala operatoria dopo avermi fatto l'anestesia totale, hanno praticato un taglio cesareo per controllare, ma aprendo hanno visto che non era da là che veniva il sangue, così hanno richiuso e sono entrati nella disperazione più totale. Le cose erano due: o l'emorragia interna si fermava o io me ne sarei andata col Signore (ma dal loro punto di vista non sarebbe stata una cosa allegra). I medici non erano in grado di trovare il vaso sanguigno che si era rotto, tuttavia questo continuava a perdere e in breve il sangue avrebbe raggiunto il cuore.
Io queste cose le ho realizzate molto tempo dopo e ho vissuto tutto quello che succedeva con una totale incoscienza, che credo venisse solo da Dio. Le persone attorno a me invece, chi più chi meno, pregavano e soffrivano per questa situazione.
Alle 7.30 dopo essermi risvegliata dall'anestesia, c'era mia madre che mi accarezzava la testa e mi ricordo di averle chiesto se avesse visto quanto era bella la bimba; lei era triste e preoccupata e mi ha chiesto come stavo. Io avvertivo dolori dovunque, ma tutto era così strano e così lontano. Mi hanno dato dei sedativi e mi hanno mandato nella mia stanza. Ogni due ore prelevavano del sangue per vedere a che punto fosse il livello dell'emoglobina e nel frattempo mi hanno trasfuso mezzo litro di sangue per aiutarmi un po'.
I medici erano molto confusi e preoccupati anche perché solo due mesi prima a Trieste, all'Ospedale Infantile Burlo Garofolo, una ragazza era morta di emorragia subito dopo il parto. Tutti erano in attesa che accadesse qualcosa…ed è successo il miracolo. Con l'ultimo prelievo si sono accorti che il livello dell'emoglobina era stabile rispetto al precedente valore e questo poteva solo significare che l'emorragia si era fermata. Mi fecero subito un'ecografia, dalla quale risultò che il sangue che avevo perduto, un litro e mezzo, invece di andare verso il cuore si era raccolto in una sacca, e si era quindi formato un ematoma grande quanto la testa di un neonato.
Dio aveva compiuto il primo miracolo.
Questo ematoma era troppo vicino all'utero e i medici erano quasi decisi ad eliminarlo, sacrificando però, nella migliore delle probabilità, buona parte dell'utero. I medici venivano a visitarmi tre, quattro volte al giorno spiegandomi quello che facevano e rivelandomi le loro speranze. Io ero serena, in pace e incosciente. Grazie a Dio, il Signore è grande!!
Mi dissero che forse avrebbero dovuto togliermi tutto, perché non vedevano altre soluzioni, e di prepararmi al peggio. Quando se ne andarono uno di loro mi disse: "Non è detto che sarà necessario andare a toccare l'utero. È successo un miracolo, potrebbe accaderne un altro!" I medici aspettarono. Successivamente seppi che si riunirono e discussero a lungo sul da farsi e siccome non tutti erano d'accordo sul fatto di toccare l'utero, decisero di aspettare nella speranza che l'ematoma si riassorbisse da solo.
E qui Dio fece un secondo miracolo.
L'ematoma si spostò, in un modo che i medici stessi non riuscivano a spiegarsi, dall'utero alla natica destra. Là sotto non dava fastidio a nessuno. A quel punto decisero di intervenire immediatamente. Mi prepararono quindi per un secondo intervento. Sarebbero andati all'interno e avrebbero aspirato l'ematoma. Tutto questo ristagno di sangue per più giorni aveva fatto sì che mi venisse la febbre e quindi dovetti fare una cura di antibiotici. Insieme agli antibiotici mi davano anche ferro e sali minerali. La febbre non scendeva, anzi ebbi una reazione allergica a uno dei due antibiotici. Alternando ne tolsero uno e poi l'altro finché trovarono quello che mi fece passare la febbre. Un giorno un medico venne a trovarmi e mi disse che pensavano di mandarmi a casa anche se avrei dovuto stare qualche giorno in più, perché quello che facevano loro in ospedale avrei potuto farlo benissimo io a casa. Dopo 14 giorni mi rimandarono a casa.
Io di tutti questi problemi e della gravità della situazione ne sono venuta a conoscenza più o meno il giorno della dimissione, quando uno dei medici mi ha raccontato tutto nei minimi dettagli, dicendomi in totale sincerità che tanto lui quanto i suoi colleghi dubitavano fermamente di potermi dimettere viva dall'ospedale. Mentre mi parlava cominciavo a realizzare nel mio cuore che la cosa era stata realmente molto grave e preoccupante, ma comunque non ne ero ancora pienamente consapevole. Mi riferì inoltre che non si vergognava di dirmi che aveva anche pregato per me, perché si era trovato in una situazione molto più grande di lui. Mi disse che davanti a certe cose anche i medici più esperti alzano le braccia e si rivolgono a chi sta sopra di noi, che conosce molte più cose. Ritornai finalmente a casa, ma il Signore ancora non aveva completato la sua opera.
Un pomeriggio, durante la mia degenza in ospedale, il Signore mi aveva dato un sogno. Mi trovavo distesa sul letto della mia stanza, quando improvvisamente un uomo sulla trentina entrò dalla porta e mentre si avvicinava al mio letto mi disse: "Sono venuto a prenderti". Io lo vedevo trasformarsi, invecchiare. La sua pelle diventava rugosa, i suoi capelli bianchi, la sua voce era roca. Accanto al mio letto c'era un altro uomo, anch'egli disteso come me, del quale per questo non vedevo il volto, ma solo il corpo. Quest'uomo si rivolse all'altro con voce calma ma piena di potenza, dicendogli: "Sotto l'ombra delle mie ali nulla muore e tu non hai alcuna autorità, perché tu stesso sei una mia creatura!" Appena finì di parlare un bimbo entrò correndo nella mia stanza e si appoggiò ai piedi del mio letto. Mi girai verso quell'uomo che voleva portarmi via e vidi che non c'era più. Questo sogno per me è stato veramente significativo, anche se l'ho capito molto tempo dopo.
Il giorno in cui presentai la bimba in Chiesa, la comunità ovviamente si aspettava che io testimoniassi, anche perché non tutti conoscevano in maniera completa come erano andate le cose. Io però non mi sentivo pronta. Questo mi rattristava molto, perché mi faceva sentire ingrata verso Dio. Ero sicura che Dio aveva fatto qualcosa di veramente potente per me, ma nel mio cuore mancava la riconoscenza.
Una notte mi svegliai e chiesi con tutto il cuore al Signore di farmi sentire quella profonda gratitudine che ha un figlio verso suo padre quando da lui riceve molto sapendo di non meritarselo affatto. E il Signore con tutto il Suo Amore e la Sua Pazienza rispose a quella preghiera in un modo meraviglioso. Mi fece ripercorrere le fasi di tutti quegli istanti in cui io mi trovavo in pericolo di vita, descrivendone ogni minimo dettaglio, anche dal punto di vista medico; tanto che seppi cose che i medici non mi avevano detto. Alla fine mi disse: "Ecco Sonia, questo è quello che ho fatto per te!"
Ma il più grande miracolo Dio lo ha fatto per me 2000 anni fa, quando ha mandato il Suo unigenito Figlio a morire sulla croce per lavarmi dai miei peccati, e dal momento che mi sono convinta di seguirlo (nel 1993), non ha mai smesso di rinnovare questo miracolo ogni giorno.
Questa esperienza non mi è servita semplicemente per dire a Dio: "Grazie, mi hai salvato la vita!", ma per riconoscere una volta di più la Sua Sapienza, la Sua Onnipotenza, la Sua Suprema Autorità sopra ogni cosa e sopra ogni creatura. Il Signore è il Grande, il Potente, Colui che salva, e, per chi crede, ogni cosa, per quanto all'apparenza drammatica, accade per la fortificazione di sé stessi e degli altri.